Nelle azioni di class action il detto “l’unione fa la forza!” è quanto veritiero, tanto più quando devi agire nei confronti di un colosso aziendale come Facebook.
Il social network più famoso al mondo si è “insinuato” nelle nostre vite rendendosi indispensabile, per curare le relazioni sociali, per mantenere i rapporti con persone lontane e recuperare quelli del passato.
Facebook è inoltre una piattaforma social attraverso la quale promuovere la propria attività, creando contenuti che possano incontrare i potenziali soggetti interessati e selezionati sulla base delle proprie preferenze.
Ciò che più attrae i gestori come Facebook sono certamente i dati personali degli utenti che possono essere utilizzati per qualsiasi scopo, senza il consenso di quest’ultimo.
Lo scandalo Cambridge Analytica avvenuto nel 2018 ne è una evidente dimostrazione.
Facebook e i dati degli utenti
La registrazione di un utente con i propri dati su Facebook non è gratuita, come vorrebbe far intendere la piattaforma, perchè l’attivazione dell’ account comporta una cessione di dati personali, utilizzati dal social per finalità commerciali, come accertato dall’Antitrust e confermato dal Tribunale amministrativo.
Inoltre lo stesso social media è stato condannato dall’Autorità Garante per la protezione dei dati personali per gli illeciti compiuti nell’ambito del caso “Cambridge Analytica”.
Infatti la società Cambrige Analytica ha acquistato l’accesso ai dati di 87 milioni di utenti profilati da Facebook e li ha usati per tentare di influenzare le presidenziali americane del 2016.
Il Garante, alla luce di tale accaduto, ha svolto accertamenti rilevando che la piattaforma FB aveva consentito a società terze (cfr. app Thisisyourdigitallife) l’acquisizione di dati degli utenti.
Il Garante ha quindi condannato Facebook per l’uso di dati personali di utenti italiani senza che fossero stati informati della cessione dei loro dati e avessero espresso il proprio consenso a questa cessione.
La comunicazione da parte di FB dei dati alla “app Thisisyourdigitallife” era dunque avvenuta in maniera non conforme alla normativa sulla privacy.
La piattaforma ideata da Mark Zuckerberg, difatti, fa si che l’utente non vada a prestare, in alcun modo, il consenso all’utilizzo delle informazioni che Facebook acquisisce, tra cui:
- al momento dell’iscrizione: nome, cognome, residenza e sesso;
- like messi a pagine ed adesione a gruppi. In questo modo si capiscono le preferenze di una persona, le cause che sostiene, l’ideale politico e i prodotti commerciali che sceglie nella vita di tutti i giorni;
- eventi a cui si partecipa, così da monitorarne la possibile posizione nel tempo e nello spazio.
Una molteplicità di dati che potrebbero essere utilizzati per i più svariati scopi senza che l’utente singolo ne sia al corrente, pensando, con ingenuità, di condividere quelle informazioni con la cerchia ristretta dei propri amici.
Come ci si può tutelare?
Come anticipato, lo scandalo Cambridge Analytica ha scatenato una forte reazione in America sino all’audizione del fondatore di FB, Mark Zuckerberg, dinanzi al Congresso.
In Italia poi sono diverse le iniziative prese nei confronti di Facebook, in particolare nella forma della class action, strumento che permette di ottenere risultati concreti in termini di tutela del diritto e risarcimento del danno subito.
Il lancio di un’azione di classe che porti all’attenzione del Tribunale competente una lesione di diritti per le persone rende più efficace l’iniziativa legale, viceversa promossa singolarmente sarebbe più costosa con risultati improbabili.
La Class Action contro Facebook
Il modello Class Action è già stato sperimentato in Italia e, anche contro Facebook, si registrano buone speranze ai fini dell’accoglimento di un’azione tesa a riconoscere il risarcimento del danno, commisurato ad ogni anno di iscrizione per utente, e relativo alla violazione delle norme tese alla protezione dei dati ed alla tutela dei consumatori.
Le possibilità di successo sono alte, visto che la piattaforma social americana è stata già condannata per 5 milioni di euro con sentenza del TAR del Lazio, per pratica commerciale scorretta, avendo sottoposto agli utenti, in fase di iscrizione, un’informativa ritenuta poco chiara e incompleta relativamente all’utilizzo dei dati a fini commerciali. Per la prima volta si è riconosciuto il valore economico ai dati utilizzati da FB senza il consenso dei propri iscritti.
Rivendicare il rispetto dei propri diritti si può con la class action che consente di sopportare spese legali senza aggravio di costi e ottenere il ristoro dei danni subiti.
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